La storia

IL PROGETTO DEL RE FERDINANDO II DI BORBONE

Il 19 febbraio del 1853 Ferdinando II di Borbone incaricò l'architetto Errico Alvino di progettare a Napoli un viadotto sotterraneo che congiungesse Palazzo Reale con Via Pace, attuale via Domenico Morelli, che potesse consentire agli stessi monarchi come sicura via di fuga. Parimenti, il viadotto serviva per scopi civili, in questo caso per consentire di snellire il traffico causato dalle numerose carrozze attive nell’area. Per le suddette ragioni, l'architetto Alvino progettò uno scavo trapezoidale suddiviso in due gallerie, separate da un sottile parapetto per sostenere i lampioni per l'illuminazione a gas. Ogni galleria doveva essere larga 4 metri e dotata di marciapiedi laterali larghi 2 metri.

Lo scavo della Galleria Borbonica ebbe inizio nell’aprile del 1853 da via Pace e non venne fatto nessun tentativo di scavo dalla direzione opposta. I lavori incontrarono una serie di enormi difficoltà tecniche. Tra le tante, lo scavo intercettò in due punti cunicoli e due cisterne ancora attive legate ai rami rinascimentali dell’acquedotto della Bolla; tale circostanza, obbligò l’architetto Alvino a realizzare degli ingegnosi lavori civili ed idraulici per mantenere attivo l’acquedotto, consentendo il passaggio di uomini e mezzi ad una quota superiore.

I lavori, completati in modo parziale nel 1855 dopo circa 3 anni, vennero realizzati totalmente a mano, con picconi, martelli e cunei, e con l'ausilio di illuminazione fornita da torce e candele; il 25 maggio dello stesso anno la Galleria Borbonica venne addobbata e illuminata sfarzosamente per la visita di Ferdinando II di Borbone, rimanendo aperta al pubblico per soli 3 giorni. Negli anni successivi, il progetto fu sospeso per motivi economici e per il variato assetto politico che portò all'unità d'Italia.

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IL PERIODO BELLICO

Durante il periodo bellico, tra il 1939 e il 1945, la Galleria ed alcune ex cisterne limitrofe furono utilizzate come ricovero bellico dai cittadini; vi trovarono rifugio circa 10.000 napoletani, molti dei quali persero le case durante i numerosi bombardamenti.

Per consentire un accesso sicuro alla Galleria vennero realizzate diverse aperture. In particolare, fu creata una scala a chiocciola proprio nel punto in cui erano terminati i lavori dell'architetto Alvino, che consentiva l'accesso alla Galleria da Piazza Carolina. I lavori di trasformazione degli ambienti caveali in ricovero bellico riguardarono la creazione di un impianto elettrico, la realizzazione di tubazioni per l’acqua potabile, la creazione di servizi igienici e la stesa della calce bianca su volte e pareti con il duplice intento di evitare la disgregazione del tufo e di migliorare la luminosità degli spazi.

Dopo la guerra e fino al 1970 la Galleria Borbonica fu utilizzata come Deposito Giudiziale Comunale dove venne immagazzinato tutto ciò che era proveniente da sequestri di autoveicoli, motoveicoli e di suppellettili di vario genere. Successivamente, la Galleria fu utilizzata come una vera e propria discarica all’interno della quale furono sversati centinaia di metri cubi di materiale detritico e rifiuti.

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LA SCOPERTA DELLA GALLERIA BORBONICA

La riscoperta della Galleria Borbonica, già in parte rilevata negli anni ’70, è datata 2005 ad opera di due geologi, Gianluca Minin ed Enzo De Luzio; questi, incaricati dal Commissariato di Governo per l’Emergenza Sottosuolo di realizzare alcuni rilievi di cavità presenti nel sottosuolo della città di Napoli, entrarono nella Galleria attraverso un passaggio murato che lo divideva da una grande cavità da loro scoperta. Fu così che decisero di occuparsi, in modo volontario, del progetto di pulizia e restauro di un’opera civile di qualità eccelsa che per anni era stata in uno stato di totale degrado ed abbandono.

A partire dal 2005, e per ben 13 anni, i componenti di quella che sarebbe diventata l’Associazione Borbonica Sotterranea, con l’aiuto di numerosi volontari si occuparono - senza l’aiuto economico e morale di nessuno - della pulizia e dell’illuminazione dei numerosi ambienti caveali per consentire oggi un’agevole e gradevole passeggiata.

Al di sotto del materiale che invadeva gli ambienti, i geologi rinvennero il Deposito Giudiziale del Comune di Napoli con numerosi autoveicoli e motoveicoli oggi in bella esposizione e l'intero monumento funebre del capitano Aurelio Padovani, pluridecorato capitano dei bersaglieri nel I° conflitto mondiale e della guerra d’Africa.

Tra le varie scoperte effettuate si annoverano l’individuazione di due accessi al sottosuolo utilizzati durante la guerra, per anni celati al di sotto di solai e riempiti di detriti provenienti dalle macerie dei palazzi bombardati.

Il primo fu quello di Vico del Grottone n. 4, il cui toponimo lega quell’indirizzo ad un locale con un’antica scala, già esistente nel ‘700, che consentiva ai pozzari la discesa nel sottosuolo per la manutenzione dell’acquedotto. In questo caso, il geologo Gianluca Minin, trovò l’accesso al di sotto del pavimento di un veterinario storico del quartiere dopo diversi mesi di scavo.

Il secondo fu quello di Via Monte di Dio n. 14, in un locale di Palazzo Serra di Cassano; in questo caso, dopo circa 3 anni di lavori di scavo, fu rinvenuta una meravigliosa scala che nel settecento fu utilizzata dai cavamonte per raggiungere il sottosuolo ed estrarre il tufo a scopo edilizio; durante la guerra, la scala fu allargata per consentire la rapida discesa nel sottosuolo.